Le Community aziendali: dove eravamo rimasti

In un contesto in cui dimensione fisica e digitale sono sempre più interconnesse, stiamo ormai vivendo un nuovo paradigma di lavoro ibrido e flessibile in cui il ripensamento di logiche e modelli organizzativi coinvolge, oltre che nuove tecnologie, anche fattori esperienziali, ambientali e umani (quello che noi chiamiamo ormai da anni “New Ways of Working”). Uno scenario fluido in cui diventa cruciale per le organizzazioni ripensare le modalità con cui le persone operano e co-operano al loro interno. E per fare questo, non si può che partire dalle esigenze professionali delle persone che prendono parte alla vita dell’organizzazione.

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    2 Luglio 2024 9 min.

    All’interno dell’articolo del Febbraio 2022 “ Fare rete e scambiare conoscenze nei nuovi contesti d’impresa: il valore delle Business Community” facevamo riferimento a tre tipologie di esigenze degli employee (essere informati, sentirsi parte di un network interno, avere a disposizione tutti gli elementi per poter crescere e lavorare al meglio) e a uno strumento che molte organizzazioni mettono in campo per rispondere a questi bisogni: le Community.

    Di ingaggio o di pratica, interamente digitali o ibride, supportate da piattaforme come M365 (Teams, Viva Engage) o da CMS custom, le Community rappresentano un importante mezzo di collaborazione e ingaggio. Nel contesto Business, in particolare, consentono alle organizzazioni di progettare e accompagnare delle vere e proprie evoluzioni culturali, abilitando logiche partecipative di inclusione, innovazione e scambio mutuate dai social.

    Le Community in azienda permettono di costruire e rafforzare relazioni di valore a vari livelli dando forma a network collaborativi in cui i team sono efficacemente interconnessi. Attraverso le Community è possibile superare confini di ruolo o di Funzione grazie all’attivazione di logiche collaborative peer-to-peer, consentendo alle persone di diffondere idee, esperienze e best practice che altrimenti sarebbero rimaste probabilmente inascoltate.

    Le Community: una riflessione aperta

    Per restituire una fotografia quanto più possibile attinente all’oggi, superando il rischio di affidarsi a viste parziali e benchmark poco coerenti ed efficaci, sentivamo il bisogno di intercettare l’esperienza di chi le Community le gestisce ogni giorno e all’interno delle aziende ne conosce le potenzialità e i vantaggi. La riflessione di OpenKnowledge, con la partecipazione di alcune importanti realtà aziendali e con la partnership accademica di Alessandra Mazzei, Direttrice del CERC (Centre for Employee Relations and Communication) dell’Università IULM di Milano, ha prodotto una fotografia dello stato dell’arte e una prospettiva evolutiva delle Community Interne. Qui di seguito i Responsabili che hanno preso parte alla riflessione congiunta, con cui abbiamo avuto il piacere di attivare una conversazione aperta su questi temi:

    • Alessandra Cappello, Responsabile Internal Communication and Digital Workplace e Vittorio Verdone, Direttore Communication and Media Relations di Gruppo di Unipol
    • Giovanna Di Bacco, Responsabile Corporate Communication, Media Relations, Internal Communication, Employee Engagement di E.ON
    • Valentina Uboldi, Head of Global Internal Communications di Eni
    • Isabella Pacifico, Head of Internal Communications di Carrefour
    • Marialaura Agosta, HR & Internal Communication Manager Diversity, Equity, Inclusion Champion di Danone Italia
    • Davide Ciullo, Senior Manager Internal Communication & People Engagement e Ornella Castellano, Diversity, Equity & Inclusion Expert di Snam

    Abbiamo ascoltato idee, contenuti e best practice dalla viva voce di ciascuno di loro, raccogliendo esperienze virtuose e spunti che hanno arricchito la nostra prospettiva e che ci portano a sintetizzare alcune “foundation” da cui partire per una riflessione attuale sulle Community aziendali.

    1. Avere chiaro il punto di partenza e gli obiettivi da raggiungere

    Oltre a favorire l’engagement e il senso di appartenenza degli employee, una Community interna può promuovere la condivisione di conoscenze, la collaborazione e l’innovazione, elementi che rappresentano abilitatori per il raggiungimento dei risultati di business. E tanto altro ancora. Dalla diffusione di informazioni aziendali allo sviluppo di una cultura basata su valori come la cura e il miglioramento delle performance, è essenziale definire in prima battuta la «reason why» che consente ad una Community aziendale di esistere e di prosperare.

    Delineare fin dall’inizio l’obiettivo che ci si pone e il valore aggiunto da portare alle persone consente di gestire al meglio la successiva fase di accompagnamento che è vitale per la crescita della Community. Sempre per citare Alessandra Mazzei, è importante ricordare che “le comunità di ingaggio sono molto complesse, possiamo associarle a degli organismi in continuo adattamento ed evoluzione che vanno alimentati (…) Emerge quindi la rilevanza di un approccio strategico alla loro creazione e gestione: definire una architettura, progettare azioni a supporto, animare, monitorare e misurare”.

    2. Costruire il purpose: motivazioni psicologiche, contesto aziendale e cultura organizzativa

    All’interno di contesti organizzativi sempre più sfidanti e polverizzati, riconoscere l’importanza strategica di una cultura condivisa e coltivare il coinvolgimento dei dipendenti è fondamentale. Attraverso logiche tipiche dei social, le comunità aziendali sono lo specchio della cultura organizzativa e rappresentano un affidabile termometro dell’azienda e una cartina tornasole affidabile di quanto il purpose aziendale stia realmente permeando l’organizzazione e i suoi comportamenti.

    Le Community abilitano allo sviluppo di network interni e aiutano le aziende a costruire un «potere di convocazione» che consente alla leadership di essere davvero promotrice della cultura aziendale. Dice sempre Alessandra Mazzei: “laddove un’azienda ha un buon livello di benessere organizzativo, l’opportunità delle comunità potrebbe essere un elemento di rafforzamento.”

    3. Promuovere il people care: prendersi cura degli employee come elemento differenziale

    Il People Care all’interno delle aziende è un tema cruciale per favorire una cultura organizzativa inclusiva e sostenibile. Investire nelle esigenze e nel benessere dei dipendenti promuove la fiducia, la motivazione e migliora la produttività, creando un senso di appartenenza e di connessione con l’azienda.

    Questa attenzione al capitale umano, che si concretizza nello sviluppo di Community interne a supporto degli employee anche in ambiti diversi da quelli del business di riferimento, non solo migliora il clima lavorativo, ma favorisce la retention e stimola l’innovazione attraverso lo scambio di prospettive diverse.

    I casi concreti sono molteplici: dalle comunità interne che affrontano i temi della Diversity & Inclusion, fino alle community di colleghi che si aggregano intorno a questioni come genitorialità, healthcare, responsabilità sociale, in cui vengono proposti direttamente dai partecipanti progetti interni ed iniziative che vanno in questa direzione.

    4. Riflettere sull’adoption tecnologica e sulle “Virtual Community”

    Offrendo un’interfaccia familiare e intuitiva, le piattaforme digitali aziendali possono facilitare l’integrazione e l’engagement dei dipendenti, promuovendo una comunicazione efficace, la condivisione delle conoscenze e la collaborazione attraverso formati e dinamiche già consolidate nella sfera sociale online. Per questo motivo, molte aziende si sono dotate di piattaforme come Workplace from Meta (Eni, Carrefour) e Viva Engage (Unipol) per costruire ambienti di lavoro sempre più aperti al dialogo (libero) e al confronto.

    In questo senso, le Community devono davvero trovare lo spazio ideale per crescere e innestarsi all’interno dei punti di contatto già esistenti, ritagliandosi di diritto un posto nella journey quotidiana dell’employee. Con un punto di attenzione: la tecnologia si deve mettere a disposizione del contesto organizzativo e dei modelli di lavoro e non viceversa. Secondo Alessandra Mazzei, infatti, “l’ideale sarebbe partire da una chiara strategia e col supporto della tecnologia dare alle comunità la configurazione più adatta al contesto specifico”.

    5. Trovare il giusto equilibrio per promuovere e mantenere vive le Community

    Nel corso degli anni, nelle numerose esperienze di Community che abbiamo progettato con i nostri clienti, abbiamo osservato come tutte le Community di maggior successo vedessero la presenza di alcuni elementi critici di successo: dalla chiarezza e solidità della value proposition percepita dai partecipanti alla sponsorship del top management, fino alla necessità di definire una governance chiara e garantire l’usabilità della soluzione tecnologica.

    Essere in grado di presidiare tutti i fattori critici di successo, valorizzando l’iniziativa all’interno dell’organizzazione e superando pregiudizi e barriere all’accesso, consente alle comunità interne di crescere in maniera organica e generare valore. Per usare le parole di Alessandra Mazzei: “le comunità per essere tali hanno bisogno di spontaneità, autenticità, caratteristiche che emergono da specifiche azioni. Vanno seminate e coltivate”.

    6. Ibridare le interazioni: da «Virtual Community» a «Hybrid Community»

    Le community virtuali, spesso nate come risposta alla necessità di connessione durante il lavoro remoto post-pandemico, mantengono un ruolo vitale anche nell’attuale ambiente ibrido del «new normal».

    La combinazione di interazioni fisiche e digitali favorisce l’engagement e la coesione dei team sparsi sul territorio, consentendo una maggiore flessibilità e inclusività. Per riuscirci, però, la transizione verso modalità “phygital” deve impegnare le organizzazioni a garantire che gli strumenti utilizzati siano accessibili e inclusivi per tutti, così come il linguaggio in essi adottato, mantenendo un workplace equo e partecipativo.

    Gli esempi concreti di ibridazione delle conversazioni in Community sono molteplici. Virtual coffee con quiz e sondaggi in real time, call to action online che si concretizzano in incontri fisici in pausa pranzo o alla macchinetta del caffè, workshop in presenza con possibilità di partecipare da remoto: in generale, tutte quelle azioni che consentono la doppia modalità di partecipazione virtuale e fisica, in una logica quanto più possibile inclusiva.

    7. Promuovere l’ingaggio, rinforzando il coinvolgimento e il senso di appartenenza

    Per valorizzare la partecipazione e il contributo all’interno di una Community aziendale interna, è fondamentale riflettere sulle dinamiche sociologiche che favoriscono l’ingaggio. Creare spazi di dialogo aperti e inclusivi, dove i membri si sentano ascoltati e incoraggiati a contribuire attivamente in una cultura di collaborazione e supporto reciproco, facilita la condivisione di conoscenze e risorse, contribuendo infine alla crescita collettiva. Ampliare le connessioni esistenti tra la comunità fisica e quella virtuale, così come creare nuove comunità partendo da quelle virtuali, rinforza ulteriormente l’engagement e il coinvolgimento dei membri.

    Le leve su cui agire attraverso le Community? Senso di appartenenza e identità di gruppo, riconoscimenti e premialità, responsabilizzazione e ambassadorship.

    8. Misurare l’impatto: valutare la maturità e la salute di una Community

    La valutazione dell’impatto e del valore generato dalle Community interne sul Business richiede una valutazione olistica in grado di superare i soli dati di utilizzo della piattaforma virtuale. Quando parliamo di ROE (Return of Engagement), intendiamo la misurazione del valore generato attraverso attivazione, interazione e impegno degli stakeholder interni ed esterni: un alto ROE indica un ambiente lavorativo positivo, in cui i dipendenti sono motivati, collaborativi e orientati al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

    È fondamentale considerare gli obiettivi primari della Community e valutarne la maturità e la salute attraverso frequenza e qualità delle interazioni, oltre alla consistenza dei contenuti che vengono generati da questi scambi. Solo in questo modo si può avere un’indicazione completa del raggiungimento o meno della sua «reason why».

    9. “When AI meets Communities”: le nuove frontiere dell’intelligenza artificiale

    Quando parliamo di community virtuali, non possiamo non considerare i futuri sviluppi dell’Intelligenza Artificiale e le potenzialità che ne deriveranno. Lo studio delle modalità con cui l’AI potrà influenzare la dinamica di ingaggio e collaborazione tra i membri di una comunità aziendale è un argomento di riflessione molto aperto, ma su cui si stanno già facendo diversi ragionamenti.

    C’è sicuramente il tema della valorizzazione delle conoscenze tacite e informali, generate da esperienze e pratiche apprese sul campo, poi codificate e formalizzate nelle community aziendali. L’AI potrà aiutare a sintetizzare e restituire tali conoscenze, per creare una base di conoscenza comune e utilizzabile in azienda.

    Attraverso l’intelligenza artificiale sarà inoltre possibile raggiungere un duplice obiettivo di automazione (di processi, analisi, ricerca di informazioni…) e di personalizzazione (di contenuti, approcci e interazioni), per aumentare notevolmente il valore aggiunto per l’employee e per l’azienda stessa.

    So what: le comunità aziendali secondo la lente OpenKnowledge

    La riflessione sulle comunità aziendali ci porta ora a riassumere alcuni elementi chiave. Nello specifico:

    • sia in fase di lancio della Community, sia durante tutto il suo ciclo di vita, non bisogna mai perdere di vista il purpose per cui una community esiste e il valore che porta ai suoi partecipanti;
    • la cultura organizzativa influenza positivamente (o negativamente) le dinamiche interne di comunicazione e collaborazione e di conseguenza la predisposizione di una azienda nell’accogliere le Community;
    • avere una leadership aperta al cambiamento, che si fa portavoce dei valori di apertura e di collaborazione e assume un ruolo di agente della cultura aziendale, è un elemento in grado di determinare il successo di una community e di generare un ritorno in termini di produttività e motivazione;
    • i membri di una community devono sentirsi utili e importanti, e devono sentirsi legittimati a condividere spunti e idee sapendo che poi verranno ascoltati;
    • la tecnologia a supporto deve essere prima di tutto un fattore abilitante, permettendo alle persone di prendere parte alla vita delle community interne in modalità ibrida.

    Per chiudere il cerchio, dopo aver fatto tesoro delle esperienze dei nostri clienti e aver raccolto preziosi spunti e riletture accademiche, proviamo a rispondere alla domanda delle domande: perché un’organizzazione dovrebbe avere cura delle proprie Community interne? Come OpenKnowledge, la risposta può partire da una lettura critica dei primi pillar del nostro Open Manifesto, una serie di statement che raccontano la nostra cultura aziendale e il nostro modo di progettare il futuro.

    Ci riferiamo alla “Openness to others”, in cui la cultura dell’inclusione, dell’accessibilità e della promozione della diversità porta alla creazione di ambienti dove ogni persona possa sentirsi accolta e valorizzata. Nel nostro Open Manifesto sottolineiamo inoltre come ecosistemi siano «driver to Open new Opportunities»: per noi, la costituzione e il “nurturing” di relazioni sinergiche tra le persone all’interno di un ecosistema più ampio con cui l’organizzazione ha relazione, apre a nuove opportunità di innovazione.

    Infine, proponiamo sempre un approccio che definiamo di “Open Culture”, in cui adottare una cultura del dialogo prepara le aziende ad abbracciare il cambiamento e i nuovi punti di vista, aiutandole in ultima istanza a raggiungere risultati di business. Le Community interne, perlomeno quelle che nascono e crescono sotto la buona stella delle “foundation” riportate sopra, vanno proprio in questa direzione.

    Guidato da un chiaro obiettivo, abilitato dalle tecnologie, favorito da connessioni ibride e da dinamiche personali e culturali insite nell’azienda, l’employee percepisce i benefici della partecipazione alla comunità nell’immediato, riconosce un nuovo senso alla sua appartenenza all’organizzazione e fa sentire la sua voce attraverso l’attivazione di cicli di conversazione e di collaborazione continua, assumendo (come singolo e nel suo network) un ruolo attivo nella vita aziendale.

    Ringraziamo nuovamente Alessandra Cappello e Vittorio Verdone (Unipol) Giovanna Di Bacco (E.ON), Valentina Uboldi (Eni), Isabella Pacifico (Carrefour), Marialaura Agosta (Danone), Davide Ciullo e Ornella Castellano (Snam) per i preziosi contributi.

    Autori

    Lorenzo Bruno

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