Intelligenze collettive, creatività, influenze culturali

Perché lo studio delle reti relazionali tra colleghi è importante

10 Luglio 2024 4 min.

Nel capolavoro di Denys Arcand Le Invasioni Barbariche (2003), nel corso del suo ultimo pranzo con gli amici, un morente Remy Girard riflette sulla differenza tra intelligenza individuale e collettiva. L’intelligenza migra, si sposta da un periodo storico a un altro, ma alla fine è sempre rigenerata laddove grandi uomini e donne hanno la possibilità di confrontarsi e lavorare assieme, che sia la Grecia Antica, la Firenze Rinascimentale o la Parigi degli Anni Venti.  

Il concetto di intelligenza generato dallo scambio e dalle relazioni non è nuovo nelle teorie sociali e organizzative: tra i principali, si annoverano gli studi di Alex Pentland, con la sua opera seminale Fisica Sociale, che ha gettato le basi per ragionare sul funzionamento fisico delle relazioni umane, o gli studi delle relazioni organizzative di Rob Cross sulla collaborazione e la comunicazione tra colleghi, o alle analisi più recenti sulle dinamiche di influenza culturale interna alle aziende a opera di Michael Arena. In ciascuno di questi casi, la matrice è sempre la stessa: la relazione umana è ciò che dà valore al singolo e non viceversa. 

Lo studio di queste relazioni prende il nome di Network Analysis, più specificamente Organizational Network Analysis (ONA). Nella branca di studio delle organizzazioni, tendenzialmente inserita sotto il cappello della disciplina People Analytics, la ONA ha preso il ruolo di analisi organizzativa tramite le reti, i cui dati sono raccolti tramite survey (ad esempio Con chi collabori? Con chi comunichi? A chi ti rivolgi se hai bisogno di risolvere un problema?). 

Oggi, però, si sono aperte nuove opportunità.

Dalla pandemia del 2020 in poi, la remotizzazione del lavoro, e poi l’adozione pervasiva dell’uso di strumenti digitali per il lavoro sincrono (call, meeting) e asincrono (gestione e lavoro su documenti, processi), ha spostato il lavoro dal fisico (qualcuno ricorda ancora le sale meeting con le lavagne e i pennarelli?) al virtuale. Per dare un’idea precisa, basti pensare all’adozione di Teams (O365, Microsoft), nelle aziende: solo nel 2020, gli utenti sono poco più che raddoppiati rispetto all’anno precedente, passando da 20 a 44 milioni a marzo, quindi a 75 milioni ad aprile, continuando a crescere fino ai 270 milioni del 2022 e 300 milioni del 2023 (per dare un’idea della crescita esponenziale, basta guardare al grafico sottostante) 

Cosa significa? Principalmente dati. Dati passivi per la precisione: digital footprint, tracce lasciate dalla nostra vita quotidiana sulle piattaforme lavorative (con chi parlo, a chi scrivo, da chi ricevo la mail, in quanti lavoriamo su un documento e chi, di quale ufficio, con quale ruolo e con quale seniority aziendale…). La domanda da porsi diventa quindi: cosa faccio con questi dati? 

Sempre dal 2020, il mondo del lavoro è stato in notevole fermento. Se prima la sperimentazione del remote work, poi di forme più o meno libere di hybrid work, oggi è il ritorno negli uffici a lanciare sfide interessanti per le organizzazioni. Con persone che, a vario titolo, hanno appreso metodi di lavoro cognitivo più efficiente (esempi: meeting più facilmente organizzabili e gestibili da remoto, meno costi di coordinamento nello svolgimento delle proprie attività), le aziende si sono ritrovate a gestire nuove criticità sistemiche emergenti: clusterizzazione sempre più spinta delle proprie relazioni sul lavoro (in sintesi, effetto campana di vetro, bolla), allontanamento dei team aziendali e diminuzione della probabilità di incontri casuali da cui far scaturire scintille di confronto e innovazione (serendipità by design), uffici da ripensare e ri-razionalizzare, con postazioni mobili, spazi ridisegnati e abitudini (e necessità) nuove per i lavoratori.  

Le possibilità di analisi sulle dinamiche informali e organizzative interne si moltiplicano in questo contesto. Tenendo ferma l’utilità di chiedere alle persone con chi collaborano, magari per certe necessità specifiche (decisioni, processi, confronto), con i dati passivi a disposizione possiamo verificare come le aziende cambiano nel tempo, come si sviluppano fenomeni interni (creazione di community, disfacimento di team, uscite più o meno previste di colleghi e colleghe rilevanti per il buon fluire delle informazioni e per il raggiungimento degli obiettivi aziendali,…). Il dato diventa oggettivo, le metriche statisticamente rilevanti per creare modelli previsionali, simulare modifiche organizzative, integrazioni, soppressioni di aree per verificare come le abitudini, i processi e le relazioni si trasformano, si creano o si cancellano. 

In questo la ONA interviene: potendo dare una vista privilegiata, dall’alto, di tutte le relazioni esistenti, più o meno nascoste, delle community interne, dei nodi da sciogliere per il giusto fluire delle informazioni, e potendo anche ragionare per scenari (what if?) crea uno strumento di riflessione organizzativa ideale per pensare il cambiamento, o comprendere le reali dinamiche interne.

Foto di Pawel Czerwinski

Autori

Alessio Mazzucco

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