Cos’è l’ergonomia cognitiva e perché è importante
Quali opportunità e rischi devono considerare le aziende quando l’adozione di strumenti di lavoro è influenzata dalla sua diffusione nella società?
C’è un dato che tutti hanno visto almeno una volta: è il tempo in cui una piattaforma raggiunge 100 milioni di utenti.
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ChatGPT Statistics | © Copyright, Fonte: demandsage
L’esponenzialità del trend non è regola per ogni nuova piattaforma, ma per alcune selezionate (vedi immagine). Cos’è cambiato tra Netflix, Facebook e ChatGPT? Perché TikTok ci ha messo sei volte meno di Facebook a raggiungere 100 milioni di utenti? Perché ChatGPT in soli 2 mesi ha raggiunto il traguardo?
Una parziale risposta è l’ergonomia cognitiva, ovvero la capacità di un oggetto (fisico o virtuale) di essere adottato dal nostro cervello, e quindi usato in maniera efficiente ed efficace. Netflix nasceva come prima piattaforma di streaming su abbonamento: una difficoltà di adozione sicuramente diversa da TikTok, che arriva dopo l’esplosione dei social guidata da Facebook, Instagram, Twitter (ora X). Il cervello umano si era già abituato alla struttura social della comunicazione, all’idea delle menzioni, delle connessioni, dei profili e della bacheca.
Discorso simile per ChatGPT: qui la similitudine non è su altre interfacce o tecnologie, ma sulla prima vera tecnologia a disposizione degli esseri umani, il linguaggio. Se l’IA si è sviluppata nei centri di ricerca a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, e cresce l’insistenza degli esperti nel sottolineare l’esistenza di un’IA noiosa, complessa, lontana dall’uso quotidiano [1], le interfacce di GPT, Midjourney, Claude, Gemini,… sono talmente immediate, cognitivamente ergonomiche, che l’uso non solo è pressoché istantaneo, ma facilmente integrabile nella propria realtà quotidiana [2].
In una conversazione con il collega Massimo Lupi, Professore di Learning&Development presso la Statale di Milano e Organizational Behaviour presso il GSOM del Politecnico di Milano, [3] riflettevamo sulla trasformazione radicale dei personal computer negli anni Novanta: non tanto la dimensione contenuta e gestibile della macchina, ma il passaggio da un linguaggio di programmazione per i task più semplici (creare una pagina di scrittura) al click sull’icona Word per aprire un foglio bianco su cui scrivere. Questo è il passaggio: dietro l’interfaccia dell’iconcina Word, la complessità della macchina è nascosta all’utente. L’utente non deve sapere quali sono gli algoritmi scatenati dal click: deve solo saper scrivere con la tastiera QWERTY (che emerge come la più ergonomicamente cognitiva per la scrittura su macchina) e selezionare le giuste icone per modificare font, colori e impaginazione.
Questi cambiamenti non sono esclusivamente legati alle tecnologie contemporanee: sono solo più rapidi di quanto avveniva in passato. Quanti di noi conoscono il perfetto funzionamento del motore a scoppio quando guidano, o quanti sanno come accendere un fuoco in natura davanti al fornello con la caffettiera del mattino? L’interfaccia, che sia fisica o virtuale, nasconde la complessità, rendendo ergonomico l’uso di un oggetto e di una tecnologia. Questo è ChatGPT.
Un secondo trend si inserisce in questa trasformazione: la velocità di adozione, la condivisione continua nelle reti virtuali che ampliano la nostra esperienza di vita, l’hype del dibattito tecnologico (la troppo citata curva dell’hype tecnologico di Gartner), rende il rapporto tra tecnologia, lavoratori e aziende più instabile e complesso. È la trasformazione pop delle tecnologie. Parlandone sul blog Nova24 del collega Marco Minghetti [4], all’interno di una più ampia riflessione sul pop management, un trend di trasformazione del rapporto tra aziende, manager e lavoratori, notavamo come le tecnologie pop stanno profondamente mutando le domande rivolte dai dipendenti alle proprie aziende.
Proviamo a spiegarci.
Non è più l’azienda che indica gli strumenti da usare, ma è la popolazione aziendale, nel suo insieme, a chiedere all’azienda di cambiare modalità di lavoro: è stato così nel lavoro sincrono e asincrono, tra call, Teams, chat e community, più vicine a un social lavorativo che a un più classico ERP aziendale o thread email (non a caso Facebook tentò la creazione di Workplace, una copia di Facebook per aziende). E non è solo la modalità di lavoro che cambia, spinta dalle novità sociali e culturali degli ultimi dieci anni, ma anche la tecnologia che si richiede: secondo un recente studio di Microsoft e LinkedIn, entro il 2028 86% dei dipendenti userà strumenti di IA nel proprio lavoro, e già oggi il 75% lo fa [5], utilizzando strumenti non in perimetri aziendali (con conseguenze su sicurezza, privacy, gestione dei dati,…): è il fenomeno BYOAI (Bring Your Own AI [at work]), già consolidato oggi per l’uso di strumenti GenAI. In sintesi, mentre nella seconda metà del Novecento erano le aziende a imporre i propri modelli culturali, oggi è la società a imporre i propri schemi alle aziende: in questo senso il trend è squisitamente pop.
Come OpenKnowledge, come supportiamo le aziende (semplificazione del complesso organismo costituito da persone, culture, management, idee, progetti e obiettivi) davanti a queste sfide?
Sicuramente consigliamo di non fermare il vento con le mani: impedire lo sviluppo di abitudini, culture, modalità, a meno che non abbiano un impatto diretto e misurabile sugli obiettivi finanziari, non è mai una buona idea. Lo sforzo necessario a cambiare le abitudini di una società è costoso in termini di capitale cognitivo e politico, e il rifiuto tout court di una dinamica come può essere l’adozione della genAI sul posto di lavoro può risultare controproducente, anche in termini di sperimentazione, spirito d’innovazione, imprenditorialità.
Supportiamo nel farsi guida e abilitatore più che poliziotto e controllore: se il fenomeno BYOAI può compromettere la protezione dei dati aziendali, può creare errori o criticità nei processi, non è impedendolo, ma guidandolo, studiandolo, formando le persone al corretto utilizzo dello strumento nell’ambito delle sensibilità e necessità aziendali, il percorso che porta i maggiori vantaggi a livello aziendale.
Aiutiamo ad anticipare i trend: anche se ha un po’ il sapore di una verità rivelata un po’ banale, le tendenze sociali e culturali sono un anticipatore potente della domanda dei dipendenti verso le proprie organizzazioni, che siano desideri, scopi, attenzione a tematiche sociali, o l’utilizzo di specifiche tecnologie e modalità di lavoro. In un certo senso, la classica market intelligence dedicata all’individuazione di trend tecnologici e d’innovazione dovrebbe trasformarsi in una social-cultural intelligence per comprendere i bisogni più nascosti e latenti, ma che avranno impatto più profondo e duraturo nel medio-lungo termine.
Fonti
[1] Consiglio di leggere un’intervista di un anno fa a Stefano Quintarelli, imprenditore, investitore ed ex-deputato, apparso su Wired: Perché l’intelligenza artificiale da tenere d’occhio è quella “noiosa”, Wired, 26 febbraio 2024, Intelligenza artificiale: tenete d’occhio quella “noiosa” | Wired Italia
[2] Preciso: inizialmente le piattaforme genAI disponibili al pubblico avevano una barriera all’ingresso all’adozione nel prompting (e si sprecano i corsi online e offline su come creare prompt corretti ed efficaci), ma con i nuovi modelli il linguaggio è diventato più rapido e le conversazioni più semplici, eliminando questa ulteriore barriera.
[3] L’IA ci impoverirà intellettualmente?, 22 aprile 2024, L’IA ci impoverirà intellettualmente? – by Alessio Mazzucco
[4] Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 18 – Organizzazione Pop. Opinion Piece di Alessio Mazzucco, Nova24, 24 giugno 2024, Le Aziende InVisibili | Prolegomeni al Manifesto del Pop Management 18 – Organizzazione Pop. Opinion Piece di Alessio Mazzucco
[5] AI at Work Is Here. Now Comes the Hard Part, Microsoft and LinkedIn, 2024 Work Trend Index Annual Report, 8 maggio 2024
Autore
Alessio Mazzucco