Virtual influencer: nuova frontiera del mondo digitale
Per quali ragioni i brand li stanno già preferendo o affiancando a quelli umani?
Da qualche anno a questa parte, integrare attività di influencer marketing all’interno di strategie di brand multicanale è un’azione fondamentale per raggiungere fasce di target più diffidenti verso la comunicazione di brand: ne sono un esempio i giovani della Gen Z, le cui caratteristiche, comportamenti e abitudini abbiamo analizzato come OpenKnowledge all’interno dell’inserto Zeneration Time, consultabile qui.
Effettuare azioni mirate su touchpoint digitali emergenti, sfruttandone il potenziale di diffusione tramite campagne di influencer marketing, permette infatti non solo di ampliare il bacino di utenti a cui ci si rivolge, ma anche di rafforzare il rapporto con la community, creando così maggior fiducia verso il brand.
Ma di cosa (o chi) parliamo?
In un contesto in continua evoluzione, uno dei trend emergenti riguarda il successo riscosso dagli influencer virtuali, ovvero avatar virtuali, generati attraverso sistemi di intelligenza artificiale, pensati e realizzati con caratteristiche fisiche e comportamentali simili a quelle degli influencer umani.
Creati tramite tecnologia CGI (Computer-Generated Imagery), i virtual influencer sono nati in Asia, dove spopolano a tal punto che le creazioni di intelligenza artificiale hanno generato un mercato pari, secondo le stime di Statista, a quasi 14 miliardi di dollari nell’anno 2021.
Che cosa raccontano al loro pubblico?
Le azioni che compiono i virtual influencer sono molto simili a quelle degli influencer in carne ed ossa. Ad esempio:
- hanno uno stile e una personalità ben definita che li contraddistingue;
- fanno parte di un ecosistema sociale e relazionale, essendo in grado di sviluppare tra loro rapporti di amicizia, relazioni sentimentali, simpatie ma anche profonde incompatibilità ed avversioni;
- si fanno portavoce di argomenti di interesse, attualità, cercando di sensibilizzare la propria fanbase di riferimento, che diversamente rischierebbe di rimanerne potenzialmente estranea;
- promuovono dinamiche sociali d’interesse pubblico, mediante la divulgazione delle strategie di CSR implementate da parte delle aziende che sostengono e sponsorizzano;
- sponsorizzano brand e prodotti con contenuti ad hoc;
- condividono momenti di quotidianità, hobby, interessi, passioni e tempo libero.
A chi si rivolgono?
Come abbiamo anticipato, l’affermazione dei virtual influencer o Computer-Generated Imagery Influencer, nasce soprattutto dai cambiamenti sociali, culturali e psicologici avvenuti negli ultimi anni, soprattutto con l’avvento della pandemia. Tali mutamenti hanno inciso profondamente sui comportamenti e sulle abitudini delle nuove generazioni, in particolare della Gen Z.
I contenuti ad hoc proposti dai virtual influencer, rappresentano in qualche modo abitudini, esperienze e stili di vita che la maggior parte della Generazione Z vorrebbe far propri.
Perchè comunicano in modo efficace?
Grazie alla velocità di pubblicazione sui social network e alla loro ubiquità, gli influencer virtuali sono in grado di limitare questo problema dilagante, costruendo relazioni di fiducia e stabili con i loro follower e fungere così da facilitatori di conversazioni per il target di riferimento, che si relaziona ormai quasi esclusivamente attraverso l’utilizzo dei canali social.
In questi anni si è registrato un cambiamento nell’atteggiamento degli utenti nei confronti dei virtual influencer, soprattutto da parte di coloro che sono già abituati ad interagire con avatar, si pensi ad esempio i giovani gamer che li usano per esplorare i mondi digitali dei videogame, ma non solo, la stessa diffusione del metaverso sta rendendo sempre più “reali” e diffuse esperienze virtuali immersive.
Un recente studio sui consumatori americani ha rilevato che: sui consumatori americani ha rilevato che:
- il 58% segue almeno un virtual influencer;
- il 24% di chi non li segue, non li conosce;
- il 27% segue i virtual influencer per i loro contenuti, il 19% per lo storytelling e il 15% perché ne sono ispirati;
- gli utenti con età 25-44 sono quelli che si fidano di più dei virtual influencer quando consigliano un prodotto;
- il 35% ha comprato un prodotto promosso da un virtual influencer.
Nella stessa analisi vengono anche esplorate le motivazioni che spingono gli utenti a seguire gli influencer virtuali:
- la maggioranza (26,6%) ha affermato di seguirli per i loro contenuti;
- in secondo luogo, i partecipanti alla survey hanno affermato di seguire i virtual influencer per la loro narrazione (18,6%)
- il terzo posto a pari merito è stato perché li ispirano (15,5%) e per i gusti musicali (15,5%),
- al quarto posto segue lo stile e l’estetica dell’avatar (12,1%)
- al quinto e ultimo posto invece l’interazione (11,8%).
Le percentuali appena riportate avvalorano la tesi dell’ultimo report del 2020 di Hype in cui è stato evidenziato che l’engagement rate di un virtual influencer è tre volte superiore rispetto a quello dei loro colleghi umani, con una target audience formata prevalentemente da ragazze appartenenti alle generazioni Y e Z.
Ma quali sono i motivi che spingono un brand a preferire i Virtual Influencer a quelli reali? Qual è il valore aggiunto derivante dall’utilizzo delle figure digitali?
Il fenomeno dei virtual influencer, proprio perché particolarmente efficace per il target appena analizzato, è caratterizzato da un diffuso utilizzo da parte dei brand. Grazie alla loro natura simil-umana che permette di ispirare e influenzare la fanbase che li segue, essi diventano asset strategici nelle mani dei brand, che li utilizzano per le proprie campagne marketing.
Attraverso la messa a terra di una strategia digitale di questo tipo, i brand hanno la possibilità di sviluppare e veicolare contenuti perfettamente in linea con l’essenza e i valori aziendali, nonché esattamente in target con la fanbase verso cui si rivolgono.
Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello transmediale: i virtual influencer sono presenti contemporaneamente su più piattaforme e non solo su Instagram, che rimane comunque il canale principale, riuscendo quindi a mantenere una costanza di pubblicazione di contenuti e raggiungendo un pubblico vasto.
I virtual influencer, essendo figure realizzate su misura per le aziende, sono in grado di mantenere alta la brand reputation e favorire una comunicazione efficace e diretta del brand, senza rendersi protagonisti di gaffe social che potrebbero danneggiare l’immagine del brand che sponsorizzano o addirittura passare alla concorrenza per una collaborazione più remunerata.
Inoltre, gli influencer ‘avatarizzati’ sono caratterizzati da una maggiore versatilità rispetto alle loro controparti in carne ed ossa, poiché si tratta di personaggi in grado di superare i confini della realtà concreta.
Tra le critiche maggiormente avanzate agli avatar c’è, ovviamente, l’incapacità di concepire come reale qualcosa che reale non è. All’interno del mondo social, però, tra filtri e avatar il confine tra le due dimensioni si appiattisce drasticamente, portando realtà e mondo virtuale a mischiarsi.
L’approccio alle tematiche sociali, però, abbatte la barriera tra reale e virtuale e porta il mondo del virtual influencer marketing ad essere credibile tanto quanto quello fisico. Sono molti gli account social che affrontano tematiche di questo genere: fra tutti quello di Miquela Sousa, la virtual influencer più famosa e seguita del web (3milioni di followers solo su Instagram), che ha realizzato campagne a sostegno di temi sociali come “Black Lives Matter”, riuscendo a raccogliere donazioni dai propri seguaci, ottenendo molti commenti e feedback positivi dagli stessi.
Il seguito di @lilmiquela, la giovane diciannovenne musicista che vive a Los Angeles di origini spagnole e brasiliane, è così alto, che i brand più internazionali operanti nel settore del fashion e del luxury come Prada, Gucci, Chanel, Diesel o Calvin Klein hanno deciso di investire nel virtual influencer marketing, aprendo delle collaborazioni. Seppur un avatar, Miquela viene percepita da suoi followers come una persona in carne ed ossa che ama divertirsi e trascorrere del tempo libero con i propri amici (anch’essi influencer virtuali), che ama la moda e il make-up e che ha avuto, come qualsiasi altro essere umano, anche un fidanzato @nicklilian, la cui relazione però sembra essere finita, mostrando tutte le sue fragilità e insicurezze di una ragazza della sua età.
Pertanto, trattandosi di profili social creati ad hoc, consentono di adattarsi non solo alle tematiche attuali mostrando la propria vicinanza alla community, abbattendo i “muri sociali” legati ai pregiudizi o alle diversità, ma anche alle dinamiche aziendali e di evolvere insieme alla brand identity e ai valori dell’azienda. Infatti, il profilo di Miquela in questo senso è evidente: oltre alle tante collaborazioni con brand del lusso, si evincono dai suoi profili social anche le partnership con brand del tech. Un esempio lo si riscontra nella campagna Instagram #DoWhatYouCant, che Samsung fece con la virtual influencer nel Luglio 2019, scegliendola come rappresentante del suo #TeamGalaxy.
In conclusione…
La distinzione tra reale e virtual reality, però, esiste nella mente degli utenti che, dopo un primo momento di enfasi nel contatto con gli avatar, arrivano a rendersi conto del fatto che il dialogo e l’interazione sia con un creator non reale. Il rischio, quindi, che venga a mancare la componente emotiva che contraddistingue i rapporti reali resta alto, portando a una perdita di fiducia che può risultare fatale per la brand reputation.
Ecco perché, nonostante le enormi potenzialità e le indubbie capacità comunicative, per sfruttare al meglio un virtual influencer non sono sufficienti solo le eccellenti capacità tecnologiche e di progettazione 3D, ma occorra sviluppare ed ideare una strategia basata su format creativi e contenuti editoriali in linea con le esigenze aziendali e che seguano uno storytelling e una coerenza comunicativa su tutti i touchpoint digitali.
Autrice
Tania Tornese